Luglio 1903
Il rumore era sordo, ritmico, molto più lento di un battito cardiaco. Ogni colpo provocava un leggero tremolio del terreno che si percepiva a distanza quasi si stesse auscultando il cuore della terra. La torre, un intreccio moderno di assi di legno appena sopra il villaggio, li aveva incuriositi parecchie volte. I giorni di villeggiatura avanzavano pigri e lenti ed i ragazzi, esauriti gli interessi in paese, avevano iniziato ad esplorare la collina sopra il castello. Quel giorno Angela accompagnava la sorella ed il marchesino, loro cugino, in una breve scampagnata su per i campi. Giunti in vista del cantiere Angela volle farvi visita nella speranza di sbirciare Luigi, un giovane operaio suo coetaneo dagli occhi color del cielo. Giunti a pochi passi dalla recinzione venne incontro loro Gaspare, il capo cantiere che ben conosceva le due sorelle. Vittorio, il marchesino, chiese di poter ammirare la macchina a vapore che dentro la baracca stava sbuffando come un piccolo drago. Gaspare non si fece pregare: Maria quell’anno era sbocciata come un fiore a primavera ed ammantava con il suo profumo e la sua bellezza i quattro operai addetti alla trivella. Abbarbicato in cima alla torre, Favari fece un fischio che echeggiò tutt’attorno. Le ragazze sorrisero ed Angela, quando incrociò lo sguardo di Luigi diventò tutta rossa. Gaspare aprì la porta della baracca e fece entrare i ragazzi. Diede qualche spiegazione su quel marchingegno a vapore che riusciva a muoversi da solo e poi usci con il marchesino intento ad ascoltare il racconto di ciò quello che stava accadendo in quei giorno a Montechiaro. Il battito della terra continuava incessante quando and un certo punto lo scalpello, all’incirca trecento metri più sotto, ruppe l’ultimo frammento di roccia che li separava da ciò che andavano cercando. Un’improvvisa eruzione di gas risalì a tutta velocità lungo il cunicolo scavato della trivella e arrivata in superficie si sparse tutt’attorno investendo la baracca dove la caldaia a vapore era a pieno regime. Un boato tremendo scosse l’aria, tutta la valle rimbombò. Gli operai, scaraventati a terra dall’esplosione, si rialzarono avvolti dalle fiamme e si gettarono nel vicino ruscello nel tentativo di spegnere gli abiti. Il Favari precipitò a terra assieme alla torre sbriciolatasi a seguito dello scoppio. Gaspare, dopo un primo momento d’incoscienza, si lanciò nella baracca avvolta dal fuoco e, a sprezzo del pericolo, estrasse i corpi ormai senza vita delle due sorelle. Vittorio, ustionato al viso e alle mani, corse verso il paese dove trovo soccorso. Ad uno ad uno i quattro operai si spensero nei giorni successivi. Anche Gaspare che, nonostante fosse con il marchesino al momento dello scoppio, mori a seguito delle ustioni riportate nel tentativo di salvare le cugine di Vittorio, l’unico sopravvissuto. Erano anni in cui il novanta percento del petrolio consumato in Italia veniva estratto nel piacentino, anni in cui ci si gettava nelle fiamme per salvare la vita altrui.
12 Maggio 2012
La canicola adagiata sulla valle, l’orizzonte sfuocato, il sudore che lucida la pelle, un cavallo con un colpo di calore, un sentiero impraticabile, il passo lento e soffocato un ritardo mostruoso accumulato via via che le ore scorrevano ed una stanchezza micidiale che attanaglia tutte le membra. No, il titolo del paragrafo è corretto: l’estate è ancora lontana.
Sebbene un secolo per un castello rappresenti più o meno quello che è un lustro per gli umani, qualcuno in mattinata era pronto a scommettere che le mura del castello di Montechiario abbiano avuto per un attimo un’espressione simile allo stupore: un gruppo di cavalieri non sostava alle sue pendici da un po’ di tempo. Il tempo di un caffè e comunque quella che era sembrata una strana apparizione era già svanita ed il maniero è tornato ad oziare come suo solito. I quattro sognatori, con loro sorpresa, si sono ritrovati in compagnia di altri quattro cavalieri: una dama proveniente dal vicino borgo di Rivergaro, una coppia di Liguri ed un milanese. Sellati i cavalli il gruppo era già partito in silenzio, senza troppe cerimonie, già sfiancato dall’improvvisa calura comparsa quel giorno.
La sofferenza è stata la costante per tutto il viaggio. Nemmeno il pranzo al castello di Fulignano è riuscito ad invertire la tendenza. Il Presidente, noto chiacchierone, già nel primo pomeriggio era ridotto al silenzio. La meta, col passare delle ore, sembrava inesorabilmente allontanarsi. Un sentiero inagibile ha costretto il gruppo a una piccola deviazione che, con i ritmi imposti dalla calura, ha dilatato il tempo oltremodo. All’imbrunire, per uno scherzo del destino, quando i cavalieri finalmente stavano prendendo possesso delle loro stanze hanno scoperto che il riscaldamento era acceso; il dolore ed il sudore è così stato assicurato anche per la notte. Solo la cena al castello di Gropparello, cui hanno partecipato anche amici venuti dalle vicine valli, ha lenito per un attimo gli stenti del gruppo.
La compagnia però, ancora non sapeva quello che avrebbe patito il giorno successivo.
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