Vladivostok

22/Febbraio/12

Qualche giorno fa un meteorologo per fare una battuta disse: stiamo vivendo come a Vladivostok.
Vladivostok? Perché,  Mosca o San Pietroburgo erano  troppo banali?
Forse il nostro mezzobusto voleva fare il diverso contando sull’ignoranza generale. Infatti, a dimostrazione che l’ignoranza è soprattutto di chi fa ”informazione”, Vladivostok è una delle città più a sud della Russia, affacciata sull’oceano Pacifico di fonte alle coste del Giappone. Ho solo speso tre minuti per controllare. Il suo nome significa Il Signore dell’Est. Certo, la temperatura media annua di quella città si aggira sui cinque gradi e condivide sia la latitudine che il clima di Toronto, però non è certo il giusto esempio per sottolineare che nei giorni scorso c’è stato un clima siberiano. Sarebbe stato meglio  citare Norilsk, altra città sconosciuta ma che almeno sta in Siberia.
Oppure, perché non utilizzare un luogo comune tipicamente piacentino? Bobbio ad esempio.
Una bobbiese mi raccontò che poco mancò che mandasse a quel paese una signora di pianura che l’anno scorso soleva tormentarla con domande sibilline su come potesse essere rigida e difficile la vita a Bobbio d’inverno. La soluzione sarebbe stata forse quella di accontentarla e stare al gioco, magari raccontando di istrici che scendono dalle montagne, volpi che razziano galline, cervi che si abbeverano in Trebbia e cinghiali che attraversano pericolosamente la strada… che per altro corrisponde pressappoco a verità. In fondo perché spiegare che più ti allontani dalla pianura, più l’aria è tersa e il freddo più sopportabile. Ah, mi sono dimenticato i lupi che ululano durante le notti di luna piena.
Insomma, con quasi due mesi di ritardo, più o meno come l’ultima estate, è arrivato l’inverno.  Strano a dirsi ma fa freddo e nevica. Poco importa se quando ero bambino, nel periodo in cui la famiglia era in trasferta nel varesotto, andavo a pattinare con i miei genitori sul lago di Comabbio (ovviamente ghiacciato). Forse qualcuno ha già fatto l’abitudine al riscaldamento globale, almeno sino a che tale fenomeno non ha spostato i flussi d’aria che caratterizzavano il nostro clima. Ora, anziché su di un asse ovest-est, con gli anticicloni o le masse d’aria umida che provengono dall’atlantico, ci troviamo su di un asse nord-sud. L’altra  sera ho lasciato i cavalli abbondantemente sotto zero dopo aver sghiacciato i bidoni dell’acqua, spalato la neve in arena e pulito la strada. Il giorno dopo  tirava invece un ventaccio caldo dal mare che prima ha riportato la neve sulla strada, poi l’ha sciolta e compattata sino a farla diventare marmo (in attesa del fango). Quindici gradi di differenza da un giorno all’altro. Et voilà.
È ovvio che il modo di vestire è cambiato: stile caraibico nell’intimo, norvegese all’esterno. Può capitare una mattinata artica ed un pomeriggio saariano. C’è chi nelle scarpe usa come soletta delle infradito e sotto il pile indossa una maglietta sgargiante con la scritta Ibiza Crazy Dancing. Chi non cura i dettagli potrebbe ritrovarsi con i moon boot ed un cappellino di lana in spiaggia o, peggio, in costume da bagno su una pista da sci.
Ovviamente c’è chi mi ha chiesto come stavano i cavalli e se erano stati portati al riparo.  Al riparo da che? Dagli umani e della loro tendenza ad addomesticare ogni cosa?
I cavalli stanno bene grazie. Quando c’è la neve amano rotolarsi. Waterloo lo fa di continuo. Hector invece non è mai stato così pulito come in questi giorni, il suo bianco è più bianco che non si può. Amelie si lancia di corsa giù dal paddok facendo degli slides da paura. Bruno se esce il sole va all’ombra. Cheyenne sta ormai facendo da tempo le prove per diventare un monumento equestre e da segni di vita all’ora del rancio. Imanol sembra non voler giocare col suo compagno ma guai se non c’è. Jerry invece, come ogni capo, è una palla: serio veglia su tutti, si concede raramente del riposo e quando è l’ora della pappa allontana gli altri con fermezza.
Ieri c’è stata forse l’ultima nevicata. Ragazzi, ancora un mese ed è primavera!

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